Pubblicato in Società di Linguistica Italiana, Linguaggio e cognizione, Atti del XXVIII Congresso, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 33-46.


Francesco Aqueci

Linguaggio, cognizione, discorso in Jean Piaget


Nel panorama delle tendenze contemporanee, l'approccio cognitivo al linguaggio di Jean Piaget, è quello che ha portato alle estreme conseguenze la consapevolezza del carattere non esclusivamente linguistico, ma più generalmente cognitivo ed operativo, non solo della comprensione di enunciati e testi linguistici, ma anche della produzione linguistica e dell'intera facoltà del linguaggio.

Quasi a minimizzarne la portata, gli studiosi di Piaget distinguono almeno due periodi nella sua concezione del linguaggio. In un primo periodo, quello degli scritti pioneristici di psicologia genetica degli anni venti, il linguaggio è lo strumento per avere accesso al pensiero del bambino. In un secondo periodo, segnato soprattutto dall'opera La formazione del simbolo nel bambino (1945), il linguaggio, inglobato in una più generale funzione simbolica, viene considerato come secondario rispetto alle strutture logiche del pensiero. Questa ricostruzione, benché filologicamente esatta, non rende conto della radicalità dell'atteggiamento di Piaget verso il linguaggio. In effetti, per Piaget il linguaggio è un vero e proprio ostacolo epistemologico che si estende dall'apparizione delle prime olofrasi sino all'emergenza delle strutture operatorie del pensiero ipotetico-deduttivo. A diciotto mesi, sostiene Piaget, il bambino, in azione, è già un piccolo Einstein. L'apparizione del linguaggio lo costringerà a ripetere, per ogni operazione logica, tutte le peripezie che, per il suo apprendimento, avevano avuto luogo sul piano dell'azione.

Presenterò queste vedute di Piaget esaminando soprattutto due piccoli saggi, scritti da Piaget a distanza di circa dieci anni l'uno dell'altro, il primo nel 1954, per sintetizzare il suo punto di vista genetico sul linguaggio, il secondo nel 1963, in occasione della sua partecipazione ad un congresso di psicolinguistica. Gli anni cinquanta e sessanta sono gli anni prima della grandiosa costruzione dell'epistemologia genetica, poi del ritorno alla biologia, tralasciata dopo le ricerche malacologiche condotte nell'adolescenza e nella prima gioventù. I due saggi che esamineremo sono gli unici esplicitamente dedicati al linguaggio durante tutto questo arco di tempo. Essi hanno un carattere in un certo senso ultimativo sull'argomento, e indicano dove Piaget situava il linguaggio nella sua più compiuta concezione biologica della conoscenza.

1. IL LINGUAGGIO COME OSTACOLO EPISTEMOLOGICO

Nel saggio del 1954, dal titolo Le langage et la pensée du point de vue génétique, Piaget esamina il posto e la funzione del linguaggio durante i vari stadi dello sviluppo ontogenetico.

Nello stadio sensorio-motorio, la relazione principale è quella tra il pensiero e il simbolismo. Il simbolismo comprende fenomeni come il gioco d'immaginazione, l'imitazione differita, l'immagine mentale, sino all'immagine onirica. La funzione del simbolismo è quella di differenziare i significati (oggetti, eventi) dai significanti (segni e simboli). Dunque, in questo stadio, il pensiero nella sua relazione con il simbolismo precede il linguaggio, e ne costituisce una sorta di fase preparatoria. Il linguaggio, che Piaget, seguendo più Delacroix che Saussure, concepisce come sistema di segni arbitrari e collettivi , interverrà solo dopo, e avrà la funzione di permettere al pensiero di raggiungere una forma più alta e mobile d'astrazione (Piaget, 1954: 105).

Nello stadio delle operazioni concrete, queste ultime si rivelano essere relativamente indipendenti dal linguaggio. Piaget fa osservare, infatti, che se ad un bambino tra i sei e i sette anni si sottopongono dei test verbali dove sono in gioco operazioni come classificare, seriare, addizionare, sottrarre, ecc., egli non è in grado di rispondere correttamente, quando invece sul piano della manipolazione concreta (classificazione di sbarrette in funzione della grandezza, ecc.) il bambino arriva facilmente a risolvere il compito assegnatogli. Dunque, il linguaggio non è la causa della formazione di queste operazioni, le quali invece prima di essere trasposte sul piano dell'intelligenza verbale si manifestano in quanto coordinazione tra azioni.

Il linguaggio è dunque posteriore al pensiero simbolico, e costituisce poi un ostacolo sulla via di una sistematizzazione astratta di operazioni concrete come classificare, seriare, addizionare, sottrarre, ecc. Allora, si chiede Piaget, è forse la «logica delle proposizioni», nel senso della logica formale, che, per la sua intrinseca connessione con il piano generale e astratto del pensiero verbale, costituisce un autentico prodotto del linguaggio stesso?

Qui Piaget ha modo di soffermarsi sulle relazioni esistenti tra logica e linguaggio. Altri autori hanno affrontato questo problema. Basti pensare a un Vailati che, da pioniere, se ne occupò già ai primi del '900. L'approccio di Vailati è classicamente semiotico: logica e linguaggio stanno sullo stesso piano, le proprietà dell'una servono ad illuminare quelle dell'altro, e viceversa (Vailati, 1908). Il fondamento filosofico di questa semiotica, adottato poi da un movimento filosofico come l'empirismo logico, è che l'analisi logica del linguaggio ordinario serva ad eliminare i cattivi problemi filosofici.

Benché anch'esso antiverbalista, l'approccio di Piaget è differente, poiché la logica qui è, al tempo stesso, il riferimento normativo e il punto massimo di evoluzione del pensiero. In questo processo evolutivo, il linguaggio è solo un episodio, più precisamente un lungo periodo di opacità cognitiva che il pensiero deve superare per giungere alla sua maturità evolutiva. Nella relazione tra logica e linguaggio, allora, Piaget cerca non la delucidazione di singole operazioni logico-formali tramite proprietà del linguaggio ordinario, o viceversa, ma il funzionamento, sottostante al linguaggio ordinario, delle operazioni logico-formali stesse in quanto «système d'ensemble» che viene poi esplicitato dalla logica formale (calcolo delle proposizioni).

Il problema è allora di determinare come il soggetto passa dalle strutture concrete elementari (classificazioni, seriazioni, matrici a doppia entrata, ecc.) a strutture astratte reticolari come quelle, ad esempio, delle 16 operazioni bivalenti ottenibili tramite una combinatoria a partire da due proposizioni p e q, o il gruppo delle quattro trasformazioni commutative (RNCI). È il linguaggio che rende possibili tali operazioni combinatorie, o che comporta la coordinazione delle trasformazioni per inversione e per reciprocità, o queste operazioni combinatorie e queste trasformazioni preesistono al linguaggio stesso? La risposta di Piaget è che i fatti genetici mostrano che, per quanto riguarda le 16 operazioni binarie, esse si costituiscono verso gli 11-12 anni in tutti i campi, e non solo sul piano verbale. E quanto al gruppo di trasformazioni, si può solo ammettere che il linguaggio facilita la loro coordinazione e utilizzazione. Le radici di queste operazioni, infatti, sono per Piaget ben anteriori alla funzione simbolica e rimontano sino agli stadi sensorio-motori:

«l'inversion ou négation n'est qu'une forme élaborée de processus que l'on retrouve à tous les niveaux du développement: le bébé déjà sait utiliser un objet en tant qu'intermédiare et que moyen pour atteindre un but, et l'écarter ensuite en tant qu'obstacle pour l'accession à un nouveau but. C'est jusqu'aux mécanismes d'inhibition nerveuse (retirer la main et le bras après les avoir tendus dans une certaine direction, etc.) qu'il faut remonter pour dégager les origines de cette transformation par inversion ou négation. Quant à la réciprocité, elle remonte, de son coté, jusqu'aux symétries perceptives et motrices, qui sont aussi précoces que les mécanismes précédents» (Piaget, 1954: 112).

Se il linguaggio facilita solamente la coordinazione di queste operazioni in un sistema d'insieme, come si arriva allora ad una tale struttura, che partecipa, al tempo stesso, della natura del «reticolo» e del «gruppo», intesi in senso algebrico? La conclusione di Piaget è che tra il linguaggio e il pensiero esiste una circolarità genetica, tale che più il pensiero si raffina, più il linguaggio è necessario al completamento del sistema delle operazioni. Ma sia il pensiero sia il linguaggio dipendono dall'intelligenza stessa, che è anteriore al linguaggio e da lui indipendente.

Una prima obiezione che si potrebbe rivolgere a questa concezione è di essere circolare, cioè di servirsi di una certa logica per formalizzare certe osservazioni condotte sul periodo sensorio-motorio, per poi poter dire che quelle stesse operazioni logiche in-azione si ritrovano più tardi sul piano rappresentativo-verbale o simbolico. Piaget ha in un certo senso risposto a questa obiezione con il suo metodo della ricerca degli «isomorfismi parziali», cioè confrontando strutture poste a differenti livelli dello sviluppo psicogenetico, e spiegando poi come l'una è stata astratta dall'altra per ricostruzioni successive basate sempre su dati anteriori (Piaget, 1967: 66-67).

Per inciso, vorrei notare che, grazie allo stesso presupposto teorico che fonda il metodo degli isomorfismi parziali, cioè l'unità biologica dello sviluppo cognitivo, Piaget ha dato nuovo vigore al più tradizionale comparatismo psicologico, come si può vedere dai suoi scritti sociogenetici (Piaget, 1977), metodo che trova ora autonomamente nuovi sviluppi nelle ricerche in neuroscienza. Mi riferisco in particolare alle ricerche di S.M. Gazzaniga sui soggetti dal cervello diviso (split brain), cioè sui soggetti che hanno subito il taglio di quel largo fascio di fibre nervose, il corpo calloso, che svolge un ruolo essenziale di coordinazione tra le attività funzionali dell'emisfero cerebrale sinistro (linguaggio) e di quello destro (motricità). Tali ricerche, delle quali un ampio resoconto è offerto in Missa, 1993: 85-100, portano alla luce un isomorfismo parziale tra un livello elementare e patologico delle strutture neurali, cioè l'attribuzione verbale, ottenuta sperimentalmente, da parte dell'emisfero sinistro di cause immaginarie a comportamenti motori di cui ignora l'origine, e un meccanismo maggiore della coscienza, cioè la produzione sociale ideologica, così come fu analizzato da Pareto in termini di «residui» e «derivazioni», cioè in termini di spiegazioni o giustificazioni arbitrarie («derivazioni») avanzate intorno a comportamenti («residui») dei quali ignoriamo le motivazioni effettive (Pareto, 1916). C'è da osservare che lo stesso Piaget, nelle sue ricerche sullo sviluppo discorsivo-morale del bambino (Piaget, 1932), riprese la teoria dell'ideologia di Pareto, e, di fronte alla cesura stabilita da Pareto tra il comportamento e l'elaborazione discorsiva, si chiese se l'uomo è un puro produttore di discorsi senza alcun riferimento alle condizioni dell'azione, o se, al contrario, esiste un qualche legame tra il comportamento e l'elaborazione discorsiva. La risposta di Piaget è che esistono dei décalages temporali tra il piano dell'azione e quello del discorso, per cui ciò che è primo sul piano dell'azione è ultimo sul piano del discorso. L'equivalente del taglio del corpo calloso sarebbe qui, dunque, il tempo, in termini di anticipazioni motorie e posticipazioni di conoscenze, legate a maturazioni cognitivo-biologiche.

Ma torniamo al nostro tema principale, cioè la concezione di Piaget circa il legame genetico tra il pensiero e il linguaggio. Una seconda obiezione che ad essa si potrebbe muovere, potrebbe concernere il fatto di introdurre alla fine un'entità, l'intelligenza, che non coincide né con il pensiero né con il linguaggio. Che cos'è allora l'intelligenza, una sorta di élan vital che trascende il pensiero e il linguaggio? Una delle esperienze intellettuali che più hanno segnato Piaget, è stata la lettura, da adolescente, durante un'estate, dell'opera di Bergson L'évolution créatrice. Ma come vedremo più sotto, Piaget, che teneva alla sua reputazione di scienziato e di antimetafisico, ha cura di parare l'accusa di bergsonismo.

Limitiamoci per ora a constatare che in questo saggio del 1954 Piaget, rispetto ai suoi lavori giovanili, e tirando tutte le conseguenza delle sue ricerche sulla formazione del simbolo nel bambino, marca un forte distacco dal linguaggio, anche se moderato dall'affermazione finale circa la circolarità genetica tra pensiero e linguaggio.

2. AL DI QUA E AL DI LÀ DEL LINGUAGGIO

Nel saggio del 1963, dal titolo Le langage et les opérations intellectuelles, scritto come relazione ad un pubblico di linguisti, Piaget, partendo dal presupposto che la logica è il prodotto di coordinazioni d'azioni, inizialmente ammette che le principali strutture operatorie sono inscritte nel linguaggio ordinario, sia sotto forma sintattica che sotto forma semantica. Per esempio, la distinzione tra aggettivi e sostantivi corrisponde alla distinzione logica tra classi e predicati, e ogni linguaggio con i suoi nomi (ad es., la serie: passerotto, uccello, animale, essere vivente) comporta una classificazione. Se poi si afferma che una balena è allo stesso tempo un mammifero e un animale acquatico, si ha una intersezione di classi che fa passare dalle semplici classificazioni additive a delle moltiplicazioni di classi. E quanto ai nomi di parentela, essi costituiscono una struttura d'albero genealogico o di moltiplicazione co-univoca di classi o di relazioni. I comparativi «più grande di...» ecc., conducono poi alle seriazioni, e tutta la serie dei numeri interi è inscritta nel vocabolario del linguaggio ordinario. Infine, la possibilità di ragionare su pure ipotesi, proprio del pensiero ipotetico-deduttivo, è legata strettamente al padroneggiamento della lingua.

Tutto questo, però, basta a dire che le strutture operatorie, da un punto di vista genetico e causale, dipendono dall'acquisizione del linguaggio? Vi sono, secondo Piaget, una serie di fatti che si oppongono a questa conclusione, e cioè:

1) «al di qua» del linguaggio, cioè prima della sua apparizione, durante lo stadio sensorio-motorio, si elabora tutto un sistema di schemi, sorta di concetti pratici, che prefigurano certi aspetti delle strutture rappresentative di classi e relazioni. Prima e indipendentemente dal linguaggio, esiste quindi una sorta di logica delle coordinazioni d'azioni. E quando questa logica si interiorizza, diventando un sistema di operazioni vertenti su oggetti concreti, anche qui queste operazioni restano per lungo tempo indipendenti dal linguaggio. Esse infatti si sviluppano secondo le differenti qualità dell'oggetto, in funzione dei sistemi d'operazioni attive, procedenti dalle azioni stesse vertenti sugli oggetti, assai più che dalla loro formulazione verbale;

2) anche quando il linguaggio è stato acquisito, rimane il fatto che, nonostante gli elementi logici da esso veicolati (classificazioni, relazioni, numeri), il bambino non è capace di dominare le classificazioni inclusive e le classificazioni in generale se non al livello delle operazioni concrete. E relazioni logiche espresse verbalmente da proposizioni come «alcuni dei miei fiori sono gialli» non sono dominate che solamente al livello in cui l'inclusione stessa è assicurata grazie al gioco delle operazioni additive e moltiplicative di classi. Senza contare, infine, che la pratica della numerazione parlata non assicura in niente la conservazione degli insiemi numerici;

3) quanto infine al ruolo del linguaggio nel completamento delle strutture operatorie proposizionali, anche se la loro elaborazione riposa su delle condotte verbali, è anche vero che esse costituiscono sistemi relativamente complessi (combinatoria e «raggruppamento») che non possono nemmeno essere formulati con l'aiuto del linguaggio ordinario.

Dunque, se le operazioni gettano le loro radici «al di qua» del linguaggio, nelle coordinazioni sensorio-motorie, esse d'altra parte lo oltrepassano «al di là», mettendo capo nelle strutture complesse sopra richiamate.

Come si vede, nonostante l'iniziale ammissione, Piaget riafferma in maniera ancora più radicale le posizioni che avevamo viste espresse nel saggio del 1954: il linguaggio è geneticamente posteriore al pensiero. Se esso gioca un ruolo nella formazione del pensiero, lo fa solo in quanto costituisce una delle manifestazioni della funzione simbolica, «le développement de celle-ci étant en retour dominé par l'intelligence en son fonctionnement total» (Piaget, 1963: 90). Quanto poi al rapporto del linguaggio con il pensiero astratto, esso svolge una funzione di educazione del pensiero o del ragionamento in funzione delle condizioni della comunicazione.

Anche qui, due osservazioni conclusive si possono fare. Innanzitutto, il ricorso ad un'entità globale come l'intelligenza, che farebbe pensare ancora all'élan vital di Bergson. Nel dibattito che segue alla sua relazione, rispondendo a Pierre Oléron, Piaget però dice che «si j'ai insisté sur la logique, c'est que c'est un point en qualque sorte terminal dans la construction des structures. [...] Tout le bergsonisme a voulu opposer l'action comme source de l'élan vital à tout ce qui est raison, logique, etc. Je crois que c'est une dichotomie bien contestable et que dès l'action il intervient des coordinations systématiques qui préfiguerent la logique» (Piaget, 1963: 71). Come si vede, l'accento sulla costruzione delle strutture e sulle coordinazioni sistematiche che legherebbero l'azione alla logica, evidenzia come Piaget abbia ben chiaro il rischio di riproporre sotto altra veste l'impostazione metafisica di Bergson. L'intelligenza, o cognizione, è dunque per lui qualcosa di controllabile e non speculativo - un problema biologico e non metafisico. Lo vedremo fra poco.

In secondo luogo, è da notare la funzione di educazione alla comunicazione che egli assegna al linguaggio quando le strutture operatorie sono giunte alla loro maturazione finale. È l'eco della sua riflessione sullo scambio verbale equilibrato, condotta negli anni trenta e quaranta, e alla quale accennerò alla fine di questa comunicazione.

3. LA COGNIZIONE COME RISPOSTA ALL'INOPIA VITALE

Dai due saggi che abbiamo appena esaminato, si vede come, del linguaggio, Piaget ritiene come valore autonomo solo l'aspetto comunicativo che regola gli scambi di pensiero. Per il resto, con una netta opzione antiverbalista, egli considera il linguaggio come un caso particolare della funzione semiotica , e lo subordina al pensiero, riconducendo poi tanto l'uno quanto l'altro all'«intelligenza». Questa concezione, come abbiamo visto, non vuole essere una versione logicizzante del vitalismo bergsoniano, né sarà una versione in chiave psicologica del tradizionale intellettualismo filosofico. L'intelligenza, infatti, o la «superiore capacità cognitiva» (Bronckart) che, secondo Piaget, è, molto più del linguaggio, il vero tratto distintivo della specie umana, non è da lui concepita in termini di rappresentazione, bensì di azione biologicamente intesa. L'azione, o comportamento, è la risposta dell'organismo vivente ad ogni modificazione dell'ambiente. E l'organismo vivente è definito come «un sistema di scambi in continuo adattamento» (Piaget, 1967: 380). Ma, per usare un'opposizione usuale, il comportamento dell'ameba è uguale o anche solo comparabile a quello di homo sapiens? In linea generale, è la risposta di Piaget, «si constata [Š] l'esistenza di un passaggio progressivo dalle regolazioni morfogenetiche generali della vita a regolazioni strutturali e da queste a regolazioni funzionali» (Piaget, 1967: 37). Ora, le regolazioni funzionali presuppongo «l'esistenza di organi ancora più differenziati: organi sensoriali e effettori motori, coordinazioni nervose (fino a quelle cerebrali e perfino corticali) che rendano possibile l'apprendimento, ecc.» (Piaget, 1967: 39). Siamo qui al livello delle funzioni cognitive, che si caratterizzano perciò come «un prolungamento» del «processo di differenziazione specializzatrice, senza però alcuna frattura del contatto con le fonti morfogenetiche e strutturali dell'organizzazione vitale» (Piaget, 1967: 37). Ma in cosa si differenzia allora l'adattamento intellettuale dall'adattamento organico? La differenza essenziale, dice Piaget,

«sta nel fatto che le forme del pensiero, applicandosi a distanze sempre più grandi nello spazio e nel tempo [...], pervengono alla costituzione di un "ambiente" infinitamente più esteso e di conseguenza più stabile, mentre gli strumenti operativi stessi, basati peraltro su ausiliari semiotici (linguaggio e scrittura), conservano il proprio passato e acquistano una continuità e una mobilità reversibile [...] irragiungibile dall'organizzazione biologica» (Piaget, 1967: 201).

Il pensiero e il linguaggio, ciascuno nel suo ordine, sono dunque gli strumenti per la costituizione di un "ambiente", al tempo stesso, infinitamente più esteso ma anche più stabile.

Come abbiamo visto, Piaget connette la cognizione all'azione, tramite il processo di differenziazione specializzatrice. Ma quest'insistenza sulle radici comportamentali della cognizione, ha finito per offuscare un altro aspetto della sua concezione della cognizione, e cioè il fatto che la cognizione è la risposta dell'organismo all'insufficienza della sua organizzazione biologica:

« [...] la necessità di organi differenziati di regolazione degli scambi con l'esterno deriva dalle insufficienze dell'organizzazione vitale nel realizzare il proprio programma, così come esso è inserito nelle stesse leggi di questa organizzazione» (Piaget, 1967: 401).

In altri termini, e parafrasando ciò che Vico affermava a proposito della metafora, si può dire che per Piaget la cognizione è la risposta all'inopia vitale. Questa sorta di pessimismo biologico spiega perché Piaget parli dell'organismo come di un «sistema aperto», ma rilevando che, in quanto tale, esso è continuamente minacciato, e quindi nella continua necessità di estendere - «chiudere» - il proprio ambiente. Ora, con il pensiero-linguaggio, grazie all'indefinita estensione dell'ambiente, si comincia a intravvedere la «chiusura» del sistema (Piaget, 1967: 391), cioè la sua equilibrazione.

A questa teoria biologica della cognizione, o teoria dell'autoregolazione, proposta in polemica rottura con «l'alternativa senza via d'uscita del lamarckismo e del neo-darwinismo classico» (Piaget, 1967: 31), si rifanno nell'odierno dibattito interno alle scienze evolutive, coloro che, opponendosi alla sintesi darwiniana dominante, si dichiarano «costruttivisti» più o meno radicali, e propongono di sostituire al tradizionale concetto di adattamento quello di vivibilità (viability) . Il problema meriterebbe una discussione approfondita che qui non è nemmeno possibile accennare. Vorrei solo osservare che i costruttivisti che si rifanno a Piaget, condividono un ottimismo biologico che, come abbiamo visto, a Piaget mancava, e che, come è stato recentemente scritto, induceva Piaget ad «un tipo di spiegazione comunque centrato sugli sviluppi endogeni e in qualche misura pre-formati, e quindi piuttosto cieca di fronte a quelle interazioni che conducono all'emergenza di novità reali» (Ceruti, 1993: XXVIII). Come vedremo alla fine di questa comunicazione, lo stesso si può dire della sua concezione dello scambio verbale equilibrato.

4. DALLE STRUTTURE D'EQUILIBRIO ALLE STRUTTURE DISSIPATIVE

Dunque, un organismo vivente è un sistema autoregolato di scambi con l'ambiente. Il linguaggio invece è non solo secondario rispetto al pensiero, ma costituisce un ostacolo alla conoscenza. Del linguaggio, però, Piaget ritiene, come abbiamo visto, il valore di strumento comunicativo. Il linguaggio educa alla comunicazione. E la comunicazione, o discorso, è proprio l'aspetto del mondo verbale che più interessa Piaget, oltre ad essere un punto di sintesi essenziale, benché assai trascurato, delle sue ricerche biologiche, psicogenetiche e sociogenetiche.

Il discorso è da lui definito come un sistema equilibrato di scambi di proposizioni tra partners che assumono determinati impegni e presupposizioni reciproche - un'equilibrazione che si ritrova solo negli stadi più avanzati della maturazione biologico-cognitiva, quelli che Piaget chiama «raggruppamenti», contrapponendoli, tanto sul piano psicogenetico quanto su quello sociogenetico, alle «regolazioni» e ai «ritmi» (Piaget, 1942; 1950: 222-232; 1977). In questo contesto, possiamo tralasciare la complessa elaborazione di Piaget intorno a queste nozioni. Vorrei solo richiamare l'attenzione sulla sua concezione dello scambio di proposizioni come cooperazione, laddove questo termine ha una forte caratterizzazione logica.

Per illustrare la sua idea, Piaget ricorre ad un esempio che richiama da vicino quello usato da P.H. Grice nel suo famoso saggio sulle massime conversazionali (Grice, 1967: 62-64), l'esempio, cioè, della cooperazione-in-azione tra due individui che aggiustano una macchina. Se sto aggiustando la mia macchina, dice Grice, e chiedo al mio amico che mi sta assistendo di passarmi quattro bulloni, mi aspetto effettivamente che mi passi quattro bulloni, e non due o sei, e ciò a dimostrazione, che gli scambi cooperativi sono regolati da massime - in questo caso la massima di quantità -, senza le quali questi scambi non sarebbero possibili. L'idea di Grice è che gli scambi discorsivi funzionino analogamente alla cooperazione-in-azione; da qui l'enucleazione delle sue massime conversazionali. Piaget ha un modo di argomentare simile, ma il quadro teorico e le conclusioni cui giunge, sono differenti. L'esempio che adotta è quello di due individui che, disposti ai bordi opposti di un ruscello, devono costruire un ponte. La ragione della scelta di un tale comportamento tecnico sta nel fatto che le forme d'equilibrio della tecnica, a differenza dell'intelligenza verbale a un certo stadio dello sviluppo sociogenetico, sono già costituite «par une coopération dans les actions elles-mêmes et par les groupements d'opérations concrètes» (Piaget, 1950: 263). In quanto tali, esse possono servire come modello dello scambio verbale equilibrato.

Ecco, dunque, due individui

«qui se proposent de construire chacun sur les deux bords d'un ruisseau, un pilier de pierres en forme de tremplin, et de relier ces deux piliers par une planche horizontale formant un pont. En quoi va consister leur collaboration? A ajuster les unes aux autres certaines actions, dont les unes sont semblables, et se correspondent par leurs caractères communs (p. ex. faire des piliers de même forme et de même largeur), dont les seconds sont réciproques ou symétriques (p. ex. orienter les versants verticaux des piliers face à la rivière, c'est-à-dire en face l'un de l'autre, et les versants inclinés du coté opposé) et dont les troisième sont complémentaires (un des bords de la rivière étant plus haut que l'autre, le pilier correspondant sera moins haut, tandis que l'autre comportera un étage en plus pour parvenir à la même hauteur). Mais comment va s'effectuer cet ajustement des actions? D'abord au moyen d'une série d'opérations qualitatives: correspondance des actions à éléments communs, réciprocité des actions symétriques, addition ou sostraction des actions complémentaires, etc. Donc, si chacune des actions des collaborateurs, étant réglée par des lois de composition réversible, constitue une opération, l'ajustement de ces actions d'un collaborateur à l'autre, (c'est-à-dire leur collaboration même) consiste également en opérations: ces correspondances, ces réciprocités ou symétries et ces complémentarités sont, en effet, des opérations comme les autres, au même titre que chacune des actions respectives des collaborateurs. Ensuite il interviendra des opérations concrètes de mesure: pour obtenir une largeur égale, chacun des deux partenaires mesurera son pilier, puis ils devront ajuster leur mesure, mais cet ajustement consistera à nouveau en une opération proprement dite de même nature, puisqu'il leur faudra utiliser un moyen terme ou commune mesure pour égaliser leurs mesures respectives. Enfin, il leur faudra déterminer ensemble l'horizontalité de la planche, dont chacun doit ajuster l'une des extremités: pour ce faire, chacun des collaboratuers peut choisir son système de références, mais il leur faudra en plus coordonner en un seul ces deux systèmes de coordonnées, ce qui revient à nouveau à faire correspondre par une opération proprement dite leurs opérations respectives» (Piaget, 1950: 263-264).

Come si vede, mentre Grice si limita a stabilire una semplice analogia tra comportamento tecnico e comportamento verbale, Piaget concepisce il comportamento tecnico come uno dei livelli, sul piano sociogenetico, del processo di differenziazione specializzatrice. In secondo luogo, mentre Grice mira a stabilire delle massime la cui natura è larvatamente etica (Aqueci, 1995a), Piaget è interessato a enucleare la struttura logica del comportamento tecnico in questione. Da qui l'individuazione delle operazioni che in esso intervengono, allo scopo di dimostrare che ogni comportamento cooperatorio è governato da una struttura logica d'insieme, cioè il raggruppamento algebrico. Infine, mentre Grice mira a descrivere con le sue massime ogni sorta di scambio verbale, Piaget ha di vista un tipo di scambio assai più ristretto. Egli, infatti, agli scambi di proposizioni cooperativi, o equilibrati, oppone gli scambi di proposizioni, che senza l'intervento di «regole speciali di conservazione» obbedirebbero a delle semplici «regolazioni» (Piaget, 1977: 93).

Un esempio di semplice regolazione verbale può essere il seguente esempio di scambio di proposizioni: A: «Dove vai?», B: «Porto pesci». Come si vede, una delle caratteristiche di questo genere di scambi verbali è quella di pervenire molto presto ad un blocco della comunicazione. Perché la comunicazione proceda sino ad un punto che possiamo giudicare concluso in modo sensato, c'è bisogno, appunto, di alcune «regole speciali di conservazione».

La prima di queste regole è che i partecipanti, ad esempio A e B, di uno scambio verbale condividano non solo un codice linguistico comune, in modo da intendersi sul significato delle parole che usano, ma anche un sistema di definizioni delle nozioni che costituiscono i significati delle parole (Piaget, 1977: 160-1; 94-95). La seconda regola comporta l'accordo o, almeno, la differenza simmetrica dei punti di vista di A e di B, e l'obbligo per entrambi di conservare, durante tutto lo scambio verbale, i valori proposizionali (veri o falsi) riconosciuti anteriormente come validi (Piaget, 1977: 161-2; 95). La terza ed ultima regola, infine, richiede che il sistema di obbligazioni sopra esposto (identità, non-contraddizione, coerenza, accordo) sia reciproco: tutti gli impegni e le obbligazioni di A verso le proposizioni enunciate e gli accordi presi, devono valere per B, e viceversa (Piaget, 1977: 95; 162).

Secondo Piaget, la struttura comunicativa derivante dal rispetto delle regole sopra esposte, prende la forma di una «struttura operatoria reversibile». Infatti, così come nell'esempio del comportamento tecnico, anche qui gli atti comunicativi dei singoli partners, che di per sé costituiscono un raggruppamento in senso logico, convergono in un raggruppamento generale dovuto alle corrispondenze, alle reciprocità e alle complementarità dei singoli raggruppamenti: «l'échange comme tel - conclude Piaget - constitue donc une logique, qui converge avec la logique des propositions individuelles» (Piaget, 1950: 271). Così caratterizzato, lo scambio di proposizioni appare come una struttura che, affrancatasi, almeno parzialmente, dal tempo, permette una creatività discorsiva regolare ed infinita.

Come però ho mostrato altrove (Aqueci, 1995b), questo modo di descrivere gli scambi di proposizioni non è in grado di prevedere l'emergenza di contenuti discorsivi radicalmente nuovi, se non al costo di caratterizzare questi momenti o come tentativi parziali di riequilibrio (sincretismo), o come compromissioni irreparabili dell'equilibrio stesso (vischiosità dell'equilibrio e suo dislocamento brusco). Vi sono, però, scambi di proposizioni altamente creativi che, anziché tendere all'equilibrio, sono essi stessi agenti del disequilibrio, e vivono dell'energia che tale disequilibrio libera. In questi casi, che sono fra i più rilevanti del mondo storico-sociale, più che a una struttura d'equilibrio, lo scambio verbale assomiglia a ciò che in fisica si chiama una struttura «dissipativa». Vigotskij diceva che un discorso è l'effetto del vento delle passioni, della nuvola del pensiero, dell'acquazzone delle parole (Vigotskij, 1990: 391). Lo scambio verbale come struttura dissipativa fa appello alla simultanea mobilitazione di tali energie. Più che a un cristallo fuori dal tempo, come appare essere lo scambio verbale equilibrato di Piaget, esso assomiglia ad un evento meteorologico: di quest'ultimo ha l'unicità, la complessità, l'irreversibilità. Esso non è governato da regole ed obbligazioni, ma per così dire da 'gorghi' vorticosi che creano nuove parole, nuove nozioni, nuovi campi discorsivi. Tanto lo scambio verbale come struttura d'equilibrio fa appello a ciò che è convenzionale nel linguaggio, tanto lo scambio verbale come struttura dissipativa è fonte di novità assolute ed irripetibili. A commento conclusivo del modello di scambio verbale di Piaget, si può perciò ripetere quanto detto a proposito della sua concezione biologica della conoscenza, cioè una preferenza per gli sviluppi endogeni e in qualche misura pre-formati dei contenuti discorsivi, e quindi una certa cecità di fronte alle interazioni che conducono all'emergenza di radicali novità discorsive.

Riferimenti Bibliografici

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