«Nell'ambito di un progetto di "etosemiotica", è stato osservato che il riconoscimento dell'Altro ci è imposto dalla situazione odierna di homo homini lupus nella quale viviamo. È la paura che ci deve imporre di riconoscere l'Altro da noi, perché tanto più lo escludiamo, tanto più ci fa paura (Ponzio, 1994, p. 314).
Non vogliamo disconoscere il valore di tali enunciazioni, ma ci pare che esse non colgano la novità della condizione dell'uomo contemporaneo. Lottando contro paure ancestrali (tra cui, quella dell'Altro da noi) e vecchi e nuovi oscurantismi, pur tra errori e cadute immani, l'uomo contemporaneo si trova, forse per la prima volta nella storia della specie umana, nella condizione di poter accettare serenamente la propria finitezza e il rischio che è ad essa connessa. Da questo differente assunto, sul quale qui non argomento ulteriormente, derivano alcuni punti per una possibile semioetica che vorrei molto schematicamente così enumerare.
La semioetica ha come punto di riferimento epistemologico una concezione antimonista, produttiva e genetica della ragione;
ha come punto di riferimento filosofico i "problemi dell'uomo". Si fa carico, cioè, della natura etico-politica del comunicare;
adotta, di conseguenza, una concezione del linguaggio come ideazione pubblica di contenuti discorsivi individuali. Contempera, cioè, il principio di creatività con il principio di comunicabilità;
per ciò fare, essa non può accettare la buona intenzione morale come sola base dell'atto comunicativo. Infatti, la buona volontà d'intendere è altrettanto labile del principio della forza. Per i teorici della forza, scomparsa la forza, che genera il diritto, la politica e lo Stato, c'è il caos. Analogamente, scomparsa la buona volontà d'intendere, che genera il diritto, la morale e il dialogo, non resta più alcun livello intersoggettivo che possa legare gli individui tra di loro;
la semioetica ricerca perciò un fondamento etico più sicuro e meno labile, e crede di trovarlo nella morale del rispetto;
il rispetto è una struttura affettivo-morale evolutiva;
nella misura in cui il dialogo è legato all'instaurarsi della morale del rispetto, esso appare come una forma il cui tempo è regolato dalle trasformazioni soggiacenti della struttura affettivo-morale del rispetto.»